Cronistoria di un “cold-case” antropologico: Francesco Petrarca muore il 19 luglio 1374 ad Arquà, paese dei Colli Euganei padovani, dove viene seppellito in un sarcofago in marmo davanti alla chiesa. Nel 1630 il frate Tommaso Martinelli rompe il sarcofago e ruba le ossa del braccio destro. Nel 1813 lo storico Carlo Leoni decide di restaurarlo e, aprendolo, ritrova il cranio del poeta ben conservato. L’antropologo Giovanni Canestrini nel 1873 viene incaricato di studiare i resti ossei di Francesco Petrarca. Tuttavia, come scrive Canestrini stesso in una sua pubblicazione del 1874, “Le ossa di Francesco Petrarca”, il prezioso reperto si disgregò a contatto con l’aria: «Il cranio, che per cinque secoli avea resistito all’azione demolitrice del tempo […] si era reso talmente debole, che il 6 dicembre 1873, esposto all’aria, spontaneamente si disaggregava».
Eppure, oggi vediamo esposto in museo il calco in gesso del cranio di Francesco Petrarca, calco riferibile a Canestrini… com’è possibile?
L’esistenza del calco è il primo degli interrogativi senza risposta chiara emersi durante gli studi negli ultimi vent’anni sui resti di Petrarca.
Nel 2003 il sarcofago viene riaperto e investigato da ricercatori dell’Università di Padova. Dopo l’analisi antropologica, la determinazione del sesso del cranio risulta femminile mentre quella dello scheletro postcraniale maschile. Inoltre, l’analisi al radiocarbonio del cranio stabilisce che la morte del soggetto risale a circa un secolo prima di Petrarca (1304–1374).
Nel 2004 l’Università di Firenze fa l’analisi genetica dei resti: il DNA del cranio è femminile, mentre quello dello scheletro post-craniale è maschile.
A fronte di tanti miseri ancora da investigare, quello che sappiamo per certo è che lo studio antropologico svolto da Canestrini e i risultati delle indagini scientifiche più recenti hanno portato a ricostruire le fattezze del viso del poeta utilizzando le tecniche ricostruttive forensi. La scienza continua…